martedì 31 marzo 2009

Il Nostro Territorio N02 - aprile 2009

Ecco il nostro nuovo numero del notiziario "Il Nostro Territorio" da leggere ed inoltrare ai vostri amici/conoscenti.

Buona lettura :-)


nostro_territorio_02_aprile2009


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martedì 17 marzo 2009




La serata di lunedì 16 è stata l’occasione per conoscere più da vicino con quali amministratori abbiamo a che fare a livello regionale.
All’inizio hanno dato il benvenuto Chiara Andretta (segretario Forza Italia di Camposampiero) e Lorenza Casa (quello di Alleanza Nazionale, di Loreggia). In particolare, ha fatto benissimo Casa ribadire che serve più impegno ed è assolutamente non procrastinabile il reperimento dei 5 milioni di euro necessari alla messa in sicurezza dell’argine sinistro del Muson dei Sassi. Speriamo che l’appello di Casa non cada nel vuoto.
A seguire Piergiorgio Cortellazzo (capogruppo di AN in Consiglio Regionale) punta il dito su una sana competizione tra alleati, non nascondendo quindi che ci sono forti divisioni al loro interno. Infatti non è chiaro a nessuno quale sia il rapporto con la delegazione UDC e come le rivendicazioni della Lega Nord influiscano sulle scelte amministrative e politiche regionali. Cortellazzo riprende l’invito del Presidente del Consiglio Berlusconi: “Non bisogna piangersi addosso e bisogna infondere serenità”. Anch’io credo che non bisogna lasciarsi ad allarmismi inutili, ma alle volte sembra che i nostri governanti sottovalutino la gravità della crisi facendo passare per stupidi chi è veramente preoccupato. Cortellazzo ha passato il resto della serata in grandi sbadigli (senza nemmeno mettere la mano davanti alla bocca e giocando al cellulare).
Condivido in pieno le parole del consigliere provinciale Ado Scantamburlo. Tra le industrie che fanno il PIL veneto, c’è quella del turismo ed è una delle più importanti anche in confronto con le altre regioni italiane. Un handicap della nostra regione è quello di trovarsi tra altre due a statuto speciale: la concorrenza è forte e molto vicina a noi. Inoltre Scantamburlo ha posto l’accento sull’urgenza di attuare la riforma federale della nostra Repubblica. Scantamburlo ingorava però che, a livello regionale, se il Veneto è una delle regioni più arretrate, questo è ascrivibile all’incapacità/non volontà della nostra amministrazione.
Maria Luisa Coppola, Assessore Regionale al Bilancio, ha descritto in modo facilmente comprensibile i passaggi chiave del nostro bilancio preventivo regionale.
Il bilancio è di quasi 13 miliardi di euro, dei quali il 60% destinati alla sanità e il 10% al sociale. La relazione è stata piuttosto lunga e articolata (fino quasi alle ore 23, togliendo quindi spazio al dibattito). L’assessore ha posto la luce sugli aspetti positivi (poco costo dell’apparato amministrativo, ottimo utilizzo dei fondi europei, ecc.) lamentando però la scarsa attuazione del federalismo. Vedremo cosa succederà alla Camera in questi giorni.

Ad una mia domanda Piergiorgio Cortellazzo ha risposto dicendo che non è importante il fatto che il Veneto è l’unica regione d’Italia a non avere lo Statuto, perché il federalismo è indipendente da questo. Cortellazzo dice il falso. Senza statuto non si può attuare la riforma del titolo V della Costituzione, in vigore dall’ottobre 2001. Il 3° comma dell’art. 116 dà la possibilità a Stato e Regioni a concorrere su alcuni poteri, ma senza Statuto Regionale, questo non si può fare. Altre regioni, come la vicina Lombardia, hanno maggiori poteri su scuola (intervenendo quindi autonomamente sul tempo pieno) o sulla cultura (dando quindi attuazione al codice Urbani); cose che noi non possiamo fare.
Il Presidente Galan ha perso 5 anni in attesa della devolution di Bossi, ma bocciata dal popolo italiano con un referendum. Magari avessimo anche noi in Veneto un Presidente con lo stesso pragmatismo di Formigoni!
I poteri che la Regione Veneto ha ora sono dovuti alla riforma Bassanini: parliamo della gestione delle strade, di incentivi alle imprese, di ricerca, di dissesto idrogeologico. Quindi tutto merito del centro-sinistra, che ha saputo approvare riforme federaliste apprezzate.
C’è da riflettere poi su un nuovo centralismo: da quello romano a quello veneziano. Parliamo di sanità, dove tutte le scelte vengono calate sul territorio senza la consultazione della conferenza dei sindaci. Sugli affitti, ci chiediamo perché non possano i comuni agire autonomamente, come anche per quanto riguarda i buoni scuola.
Penso che sulle scelte fondamentali si debba ragionare insieme, ma coscienti del fatto che bisogna arrivare a decisioni in fretta. Su alcuni aspetti della gestione regionale, bisogna supportare il governo regionale affinché riesca a portare a casa il più possibile da Roma; ma bisogna vigilare che un nuovo centralismo non si affacci sulla scena, perché altrimenti nulla cambierebbe.

Enrico Zanon

H2O ACQUA IN BOCCA: VI ABBIAMO VENDUTO L'ACQUA

Il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica. Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica.
Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico ma una merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l'acqua minerale).
La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita. L'acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno puo' appropriarsene per trarne illecito profitto. L'acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre. Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo.
Acqua in bocca.

da Sara Paliuri

lunedì 9 marzo 2009

Figli dell'Ulivo, ingenui ed europei: ecco la nuova leva dei Democratici

Laicità e merito i valori-guida. E stop al mito del dialogo
Dalle interviste dell'inchiesta di "Repubblica" sui giovani del Pd, le 50 "parole chiave"
Ricorrono i termini "Bisogna", "fare" e "politica", oltre che "destra" e Stato"
di CURZIO MALTESE


Le crisi storiche dei grandi partiti occidentali si sono quasi sempre concluse con l'avvento di una nuova generazione di trentenni e quarantenni. E' successo al Labour inglese e ai socialisti spagnoli, come ai loro avversari, poi ai democratici americani, oggi accade ai socialdemocratici tedeschi e svedesi. Tutti partiti che si chiamano così da oltre un secolo. Il centrosinistra italiano, dopo ogni sconfitta, ha cambiato marchio e simboli, conservando linguaggio e nomenklatura. Veltroni e D'Alema litigano da vent'anni e da quattro partiti (Pci, Pds, Ds e Pd), ha scritto Ezio Mauro.

Questa finzione gattopardesca è ormai intollerabile all'elettorato che reclama il ricambio del gruppo dirigente nei sondaggi e nelle primarie. A volte senza neppure conoscere i nuovi, soltanto per esclusione. Siamo andati alla ricerca dei giovani democratici e abbiamo scoperto, per cominciare, che esistono. Non è vero che dietro l'oligarchia c'è il nulla. Al Nord, Centro e Sud s'incontrano donne e uomini di venti, trenta o quarant'anni, animati di passione politica, con le loro storie, professioni, idee. Da domani potrebbero prendere il posto dei vecchi senza farli rimpiangere troppo. E forse per nulla.

Migliori o peggiori dei Veltroni e D'Alema, Rutelli e Parisi, Bersani e Letta, Bindi e Marini? Giudicheranno i cittadini. Di certo, diversi. Più curiosi del futuro che del passato. Più simili ai cittadini che dovrebbero votarli. Non è soltanto questione di età, piuttosto di cultura e linguaggio. Mentre i vecchi leader litigavano sulle rispettive appartenenze, è cresciuta una generazione per la quale le categorie novecentesche hanno perso senso. A cominciare dalla questione dominante del secolo scorso, il comunismo. Che per l'Italia continua a essere un'ossessione. Ex e post comunisti, dialoganti con ex democristiani, in lotta con anticomunisti, a loro volte spesso ex comunisti, come se il muro non fosse mai caduto, in un delirio passatista di revisionismo rancoroso.

Questi altri, i giovani, non sono ex di nulla. Hanno votato Ulivo già a diciott'anni, sono cresciuti in una casa riformista comune, dove non è difficile trovarsi d'accordo sui valori fondanti. Cattolici e non cattolici, difensori della laicità dello stato. Moderati e radicali, convinti che il conflitto d'interessi (di Berlusconi, di Pincopallo o del governatore di una regione "rossa") sia un cancro della vita pubblica nazionale. Milanesi o siciliani, fieri europeisti, con esperienze di studio e lavoro all'estero, contatti quotidiani con coetanei che fanno politica a Berlino o Parigi, Londra o Madrid. In una specie di permanente Erasmus via Internet, dove ci si scambiano idee e informazioni sui temi del qui e dell'oggi, l'ambiente, l'energia, la crisi, i nuovi lavori, l'immigrazione. Assai più di quanto facciano con i colleghi europei i nostri parlamentari in villeggiatura politica a Strasburgo e Bruxelles, indipendentemente dal gruppo europeo al quale sono iscritti.

Hanno tutti vite che si possono raccontare oltre la sezione di un partito, non sono figli di dirigenti e funzionari, considerano la politica un impegno a termine, almeno per ora. E dalle esperienze di vita quotidiana hanno maturato quello che forse è mancato in tutti questi anni alle leadership di centrosinistra. Una visione della società italiana nei fatti alternativa a quella della destra di Berlusconi. Un'Italia più aperta e tollerante, ben disposta al merito e alla creatività, assai più integrata nel resto d'Europa, meno anomala e autarchica, familista e obbediente ai vescovi. Ma anche una sinistra meno autarchica e difensiva. E' una visione dove il coraggio si mescola con l'ingenuità. Ma forse è di coraggio e ingenuità che la sinistra ha bisogno.

Nel suo primo anno di vita il Pd non si è concentrato sulla più grave crisi economica dagli anni Trenta ma sull'annosa questione del dialogo con Berlusconi. Dialogo sì, dialogo no, a prescindere, come stile politico. Senza neppure capire che, visto il risultato elettorale, Berlusconi non ha più bisogno di dialogo. Il temuto o sperato (da Veltroni) pareggio elettorale non c'è stato. Al massimo il premier ha oggi bisogno di un'opposizione che lo aiuti a far ingoiare all'opinione pubblica irriducibilmente democratica un certo numero di leggi razziali impensabili nel resto del continente, il regolamento di conti finale con la magistratura e qualche raffica di nomine di basso livello alla Rai o negli enti pubblici. Tutte operazioni alle quali procederà in ogni caso, anche senza la benedizione degli avversari. A questo brutale stravolgimento delle garanzie costituzionali, il centrosinistra ha offerto in questi anni soltanto una resistenza trattabile e poco convinta. Fino alla resa ideologica di contrapporre la ronda di sinistra a quella di destra, la caccia al lavavetri democratica contro quella leghista, il buon portatore di conflitto d'interessi (Soru) contro il cattivo. In cambio della concessione da parte del sovrano di qualche riserva indiana, di un piccolo statuto albertino in materia di sindacato o televisioni, e ancor di più in cambio della sopravvivenza del centrosinistra come ceto politico. Il tempo di questi giochi da seconda repubblica è ora scaduto. I cittadini chiedono che la politica non si occupi della propria sopravvivenza ma della loro, minacciata dalla crisi.
(5 marzo 2009)

lunedì 2 marzo 2009

GALAN: UNA PALLA AL PIEDE PER IL VENETO

Incontrarsi per discutere sullo stato di salute del nostro territorio è un’occasione in più per verificare l’operato del governo veneto, presieduto da 14 anni da Giancarlo Galan. Il Veneto, la regione più industriosa del nostro Paese, non poteva essere più sfortunata. Prendiamo in esame alcuni fatti.
1) Il deterioramento del Servizio Sanitario Veneto. L’80% del bilancio regionale è dato dalla spesa sanitaria. Invece di proseguire su un percorso di eccellenza a portata di tutti, ci troviamo nella necessità di rivolgersi a caro prezzo alle strutture private (o a servizi privati in ospedale), i tempi di attesa rimangono intollerabili e ospedali di prestigio (come quello di Camposampiero) si vedono lentamente privi dell’offerta di servizi che erogavano con la soddisfazione dei cittadini
2) Passante di Mestre. È l’unica cosa (ben pubblicizzata) che Galan è riuscito a fare: 30 km in 15 anni sono 2 km all’anno di media. E questo grazie alla mano decisiva di Antonio Di Pietro, ministro per le Infrastrutture del Governo Prodi.
3) Metropolitana di superficie. Lasciamo perdere…
4) Statuto Regionale. Il Veneto è l’unica regione d’Italia a non averlo, in barba al federalismo!
5) Aiuti alle imprese venete. Con una crisi economica mordente, Galan è impreparato nel sostegno alle PMI, quando avrebbe potuto sostenerne l’accesso al credito attraverso la sinergia con i Confidi e leggi regionali ad hoc.
6) Sostegno a lavoratori in mobilità: Berlusconi ha assegnato alle regioni 8 miliardi di euro. Grazie tante! Con i soldi del Fondo Sociale Europeo erano capaci tutti!
7) Tutela ambientale: è proprio il caso di dire che si procede tappando le falle!

Tanto altro si potrebbe dire. Ma il Partito Democratico è in grado di rappresentare un’alternativa credibile? Se si sostengono i giovani, che hanno molta voglia e le competenze giuste per costruire un futuro migliore per il proprio territorio, lo è senz’altro!
Enrico Zanon